C’era sempre una mattina d’estate, in Agosto, quando il sole di Sicilia spaccava la terra, che per me non era come le altre. Come ogni mattina scendevo in giardino e, accatastate una sopra l’altra, scorgevo una montagna di cassette di pomodori che mio padre aveva comprato girando per le campagne. Il cuore mi esplodeva di felicità. Quelle cassette di pomodori significavano l’inizio della festa. Una festa povera, ma ricca di emozioni difficili da dimenticare. Per due giorni tutta la famiglia faceva la salsa. Ognuno aveva il suo ruolo. Il nonno era il boss: si occupava del fuoco. Accatastava la legna vicino al pozzo, montava il treppiede, ci agganciava la coddara (una grossa pentola di rame che conservo ancora nel mio ristorante), e quando il fuoco pareva un’eruzione dell’Etna, iniziava con la bollitura dei pomodori. Mia nonna li passava, mia madre con un mestolo riempiva le bottiglie, i miei due fratelli inserivano in ogni bottiglia qualche foglia di basilico. A me, che ero il maggiore, spettava il compito più delicato (e invidiato dai miei due fratelli): quello di mettere i tappi. Ma la vera festa iniziava quando si facevano bollire le bottiglie per tutta la notte dentro un grande barile. Più o meno negli stessi giorni – perché più o meno negli stessi giorni i pomodori raggiungevano la loro giusta maturità – tutte le famiglie di Spadafora preparavano la salsa. Chi non aveva il giardino la faceva per strada, e vi lascio immaginare il profumo che si spargeva per il paese. Noi si apparecchiava la tavola sotto un grande albero di limoni e si cenava tutti insieme. Si passava la notte così, a mangiare cibi semplici e buonissimi, ad ascoltare i racconti dei grandi, a controllare la perfetta sterilizzazione della conserva, a correre intorno al fuoco. Finché il sonno non vinceva le energie di noi “picciriddi” e il fuoco lentamente si spegneva, anche se nei miei ricordi resta acceso come un tempo.

A sabato, Andrea!!!